IL PRETORE Letti gli atti e scioglendo la riserva che precede, O S S E R V A Con ricorso ex art. 700 del c.p.c. depositato il 25 marzo 1993, Marchioro Patrizia, dipendente dell'associazione Opera Immacolata Concezione (O.I.C.) quale "operatrice di assistenza", ha chiesto un provvedimento d'urgenza con cui le venisse consentito di riprendere la sua normale attivita' lavorativa, dalla quale era stata sospesa (ferma restando la corresponsione della retribuzione) con lettera dell'O.I.C. di data 24 febbraio 1993. Tale provvedimento era stato motivato dalla circostanza che la Marchioro aveva contratto matrimonio il 2 febbraio 1993 con il sig. Businaro Maurizio, anch'egli dipendente dell'O.I.C., affetto da AIDS, e dalla conseguente richiesta, avanzata dalla convenuta agli "uffici competenti", di una visita di idoneita' al lavoro della ricorrente, prima di riammettere in servizio la dipendente al termine del congedo matrimoniale e di un ulteriore periodo di aspettativa. La Marchioro - che precisava di aver gia' recapitato alla direzione dell'O.I.C. nel mese di gennaio '93 un certificato di analisi (da lei eseguite in data 9 gennaio 1993 presso un laboratorio privato) dal quale risultava immune dalla malattia infettiva di cui si tratta - contestava il provvedimento di sospensione, ritenendolo discriminatorio, e comunque in contrasto con le precise disposizioni dell'art. 5 della legge 5 giugno 1990, n. 135, e dell'art. 15 del d.l. 4 ottobre 1990, n. 276, convertito in legge 30 novembre 1990, n. 359. Lo scrivente accoglieva il ricorso in data 29 marzo 1993 "inaudita altera parte" e fissava l'udienza del 14 aprile 1993 per la comparizione delle parti e per la conferma, modifica o revoca del provvedimento. In tale occasione si costituiva in giudizio l'O.I.C., ricostruendo in dettaglio, nella sua memoria difensiva, l'intero iter della vicenda. La convenuta ricordava in primo luogo di essere un ente morale con personalita' giuridica che gestisce case di riposo per anziani, ivi compresa quella - sita in Padova e denominata "Villa SS. Trinita'", che ospita 114 anziani non autosufficienti - presso la quale la Marchioro presta la sua attivita', consistente nell'aiutare gli ospiti nelle piu' elementari operazioni quotidiane (dalla pulizia all'igiene intima, all'assunzione dei pasti, al movimento degli arti invalidi, ai massaggi antidecubito, alle piccole medicazioni, ecc.). Cio' premesso, l'O.I.C. deduceva che il proprio dipendente Businaro Maurizio (futuro marito della ricorrente) si era assentato dal lavoro sin dalla fine del mese di settembre '92 a causa di una "grave malattia" non meglio precisata, e che a partire dal 12 ottobre 1992 anche la Marchioro si era continuativamente assentata dal lavoro, usufruendo dapprima di un periodo di ferie, e poi di vari periodi di aspettativa non retribuita, motivata dalla necessita' di assistere l'(allora) fidanzato, affetto, a suo dire, da un grave tumore all'intestino. La convenuta precisava di essere stata informata solo negli ultimi giorni del 1992 (da parte di un'amica della Marchioro) circa la vera natura della malattia del Businaro, ed aggiungeva di avere appreso con disappunto che gia' da tempo nell'ambiente di lavoro dei due dipendenti in questione era risaputo (con preoccupazione, disagio e perplessita' dei colleghi di lavoro) che il Businaro era affetto da AIDS in fase conclamata da circa tre anni. Vi erano poi stati nel gennaio '93 alcuni incontri tra la direzione e di due lavoratori, e quindi questi ultimi avevano preannunciato il loro imminente matrimonio, poi in effetti celebrato in data 2 febbraio 1993. Si era infine giunti alla sospensione cautelare dal servizio (ma non dalla retribuzione) della Marchioro con la lettera del 24 febbraio 1993, impugnata dall'interessata in questa sede. In proposito, peraltro, l'O.I.C. sottolineava di avere contestualmente chiesto una visita di idoneita' al servizio della dipendente all'ufficio igiene pubblica della u.l.s.s. 21 di Padova, e di essere ancora in attesa del relativo esito. In conclusione, la convenuta ribadiva che la sospensione della ricorrente non era stata assolutamente motivata da un qualsiasi intento discriminatorio (come adombrato dalla Marchioro) a causa della malattia del suo consorte (o, eventualmente, della sua), bensi' esclusivamente dalla prevalente esigenza, e dalla precisa responsabilita', di tutelare interessi collettivi (facenti capo ai 114 anziani ricoverati, ai loro parenti, e agli altri 60 dipendenti di "Villa SS. Trinita'") da ritenersi superiori a quello individuale della lavoratrice, attesa la necessita' di appurare con certezza che quest'ultima, specie dopo aver contratto matrimonio con una persona sicuramente affetta da AIDS, non avesse a sua volta contratto la stessa malattia. In buona sostanza l'O.I.C. - dopo aver ricordato l'impossibilita' di adibire la dipendente ad altre mansioni - sottolineava di aver adottato un provvedimento assolutamente cautelare e provvisorio, in attesa dell'eliminazione di qualsiasi dubbio: chiedeva quindi la revoca del decreto pretorile del 29 marzo 1993 e il rigetto del ricorso perche' inammissibile ed infondato. All'udienza del 14 aprile 1993 lo scrivente, sentite informalmente le parti, otteneva la disponibilita' della ricorrente ad ogni opportuno accertamento, e sollecitava telefonicamente il dirigente del settore igiene pubblica della u.l.s.s. 21 ad espletare rapidamente le indagini sanitarie del caso. Alla successiva udienza del 7 maggio 1993, peraltro, la Marchioro dichiarava inopinatamente di essersi rifiutata di sottoporsi agli specifici esami richiesti dai competenti organi sanitari (ed in particolare dalla divisione malattie infettive dell'ospedale di Padova), avvalendosi della facolta' riconosciutale dall'art. 5, terzo comma, della legge n. 135/1990. Il giudicante si riservava di decidere. La lunga esposizione in fatto che precede era necessaria, ad avviso di questo pretore, per delineare compiutamente l'estrema difficolta', se non addirittura l'impossibilita', di risolvere la controversia sulla base delle norme vigenti in materia. Ci si trova infatti in presenza, da un lato, a sostegno della posizione assunta dalla ricorrente, delle seguenti disposizioni: a) art. 5, terzo comma, legge 5 giugno 1990, n. 135 ("Nessuno puo' essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l'infezione da HIV se non per motivi di necessita' clinica nel suo interesse"); b) art. 5, quinto comma, stessa legge ("L'accertata infezione da HIV non puo' costituire motivo di discriminazione, in particolare per l'iscrizione alla scuola, per lo svolgimento di attivita' sportive, per l'accesso o il mantenimento di posti di lavoro"); c) art. 6, primo comma, stessa legge ("E' vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento di indagini volte ad accertare nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l'instaurazione di un rapporto di lavoro l'esistenza di uno stato di sieropositivita'"); d) art. 15, primo comma, d.l. 4 ottobre 1990, n. 276, convertito in legge 30 novembre 1990, n. 359 ("Per la verifica dell'idoneita' all'espletamento di servizi che comportano rischi per la sicurezza, l'incolumita' e la salute dei terzi possono essere disposti, con il consenso dell'interessato, accertamenti dell'assenza di sieropositivita' all'infezione da HIV"): disposizione questa peraltro di dubbia rilevanza nella fattispecie, essendo inserita in un contesto normativo del tutto estraneo alla materia qui in esame (senza tener conto che non risulta ancora emanato il decreto ministeriale con l'elenco dei servizi, previsto dal quarto comma del citato art. 15). Dall'altro lato, peraltro, la convenuta ha sottolineato la propria esigenza, collegata a precise responsabilita' anche di carattere penale, di essere assolutamente certa della piena integrita' fisica del personale addetto, come nel caso della Marchioro, alle delicate mansioni di assistenza agli ospiti non autosufficienti. Ed e' evidente che nel caso della ricorrente - coniugata e convivente con una persona pacificamente affetta da AIDS in fase conclamata - tale certezza non esiste. Ne' puo' ritenersi tranquillizzante in tal senso il certificato di analisi di laboratorio prodotto dall'interessata, sia perche' di data anteriore a quella del matrimonio, sia perche' e' noto che, in base all'attuale livello di conoscenza raggiunto dalla medicina e dalla biologia, l'esito delle analisi sulla sieropositivita' e' sicuro solo per il periodo che precede di cinque o sei mesi la data dell'accertamento, tale essendo la durata di incubazione dell'eventuale infezione da virus HIV. Orbene, e' opinione di questo Pretore che il drastico e perentorio tenore letterale delle citate disposizioni della legge 5 giugno 1990, n. 135 - che escludono in ogni caso la possibilita' di analisi e di accertamenti su un eventuale stato di sieropositivita' senza il consenso dell'interessato - sia in contrasto con l'art. 32 della Costituzione ("La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettivita'.") nella parte in cui le predette norme non prevedono - limitatamente ai casi di quelle specifiche attivita' lavorative che, per la loro particolare natura, presentano (come nella fattispecie) il serio rischio della trasmissione dell'infezione da HIV dall'operatore di assistenza (medico, infermiere, ecc.) all'assistito (sia esso un ammalato, un anziano non autosufficiente o altro) - la possibilita' di prescindere dal consenso dell'interessato. Ritiene in altri termini il giudicante che la legge n. 135/1990 - informata per altro verso a princi'pi di alto valore sociale e all'apprezzabile esigenza di non discriminare o isolare, neppure sul lavoro, le persone sieropositive o affette da AIDS - presenti profili di incostituzionalita' nella parte in cui non ha previsto, limitatamente alle attivita' lavorative sopra indicate, la possibilita' di accertamenti sanitari, naturalmente con le dovute garanzie di riservatezza, anche contro la volonta' degli interessati (tra l'altro consentiti, purche' in forza di legge, dall'art. 32, secondo comma, della Costituzione), al fine appunto di tutelare la salute come "interesse della collettivita'": bene questo, ad avviso di chi scrive, assai piu' rilevante di qualsiasi diritto individuale (ivi compreso quello al posto di lavoro). Si ritiene pertanto necessario sospendere il presente giudizio e disporre la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla predetta questione di costituzionalita' che, oltre a non apparire manifestamente infondata per i motivi suindicati, risulta altresi' rilevante per la decisione della presente controversia. E' infatti evidente che, nel caso di una pronuncia di illegittimita' da parte della Consulta, il provvedimento adottato dall'O.I.C. nei confronti della Marchioro risulterebbe legittimo, mentre in caso contrario risulterebbe corretto il comportamento della ricorrente (anche se resterebbe irrisolto il problema della responsabilita' dell'O.I.C. a tutela della salute dei numerosi anziani ricoverati). Nelle more peraltro della decisione della Corte, lo scrivente ritiene opportuno revocare il proprio decreto del 29 marzo 1993 (e confermare quindi provvisoriamente la sospensione della Marchioro dal servizio, ma non dalla retribuzione), sia per le ragioni cautelari di cui si e' detto, sia perche', alla luce dell'esposizione dei fatti operata dalla convenuta (e non smentita dalla ricorrente), le argomentazioni addotte da quest'ultima per chiedere di essere riammessa al lavoro appaiono molto meno consistenti, posto che in precedenza era stata la stessa lavoratrice a richiedere vari periodi di aspettativa (tra l'altro, non retribuita) ininterrottamente dall'ottobre '92 alla fine di febbraio '93.